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"E' un grosso articolo pieno di pezzi grossi". State of play dissemina dubbi, insinua sospetti, in un labirinto di pensieri e supposizioni che attanagliano lo spettatore fino al The End che non ti aspetti. E’ allora che la (rin)corsa alla verità si cela in tutta la sua cruda realtà. Denaro, sesso e politica, un “trix” micidiale di elementi che può seriamente compromettere la scalata al potere di Stephen Collins, l’astro nascente del congresso USA, con mire presidenziali: l’omicidio in circostanze alquanto misteriose della sua assistente rappresenta un ostacolo tale da rendere gli scalini della White House fin troppo irti. E se i “contenders” del Congresso cavalcano l’onda dello scandalo, l’FBI indaga sul misterioso assassinio con il freno tirato e il collo della camicia strattonato da più fronti alla luce del ruolo delicatissimo ricoperto dallo stesso Collins, “tesoriere” di segreti militari ed economici. A far luce sul caso ci pensa allora un pool di giornalisti dalle spiccate capacità investigative, capitanato da un segugio d’eccezione: quel sempre più gladiatorio Russel Crowe che interpreta magistralmente il ruolo del reporter d’assalto (Cal McCaffrey), dalla “penna” particolarmente ferma e calda, seppur legato da un’amicizia quasi fraterna con Collins. L’inchiesta si fa pertanto a tinte fosche tanto che sulla scena del crimine aleggiano le ombre invisibili di uomini potenti fra banchieri, generali e politici, pronti a tutto pur di celare un segreto davvero grande e unico. Persino gli affetti più cari di Collins ne sono coinvolti e la saga biblica di Caino versus Abele è la storia che si ripete in tutta la sua drammaticità. L’imperativo categorico per McCaffrey è non fidarsi di nessuno, nemmeno del proprio direttore di giornale, soprattutto quando il caso è finalmente risolto e l’articolo che si andrebbe a stampare l’indomani, è pieno di pezzi grossi a cui il naso – e non solo quello – pruderebbe.