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La pellicola genera enormi aspettative nei fans, in virtù del budget da 44 milioni di dollari (il primo episodio di Star Wars ne costò cinque). Viene costruito l’unico modello in grande scala della Enterprise, adoperato fino a Star Trek VI: il risultato è una strabiliante sequenza di riprese, effettuate con una cinepresa a controllo computerizzato del movimento. La produzione ricicla i set costruiti per la serie Star Trek: Phase II, mai decollata, con consulenti quali Asimov e Herbert, autore di Dune. Molti fan recitano come comparse non retribuite, ed i costumi vengono riesumati dal colossal I Dieci Comandamenti (1956). L’equipaggio è presente nella sua interezza, con Leonard Nimoy ultimo ad accettare. Tra i nuovi, spicca il Tenente di Vascello Ilia del Pianeta Delta (la Miss India Persis Khambatta, deceduta pochi anni fa), con il tenente Sulu che, conoscendo l’apertura sessuale dei Deltani, pregusta svariate piacevolezze nell’incontro, venendo però frustrato dalla scoperta del voto di celibato dell’ufficiale Deltano. Il film è cerebrale, lento ed emozionale, tanto da essere l’unico di Star Trek in cui i phaser non sparano nemmeno un colpo, con bolle di ritmo placido che richiamano altri capolavori, come nel parallelismo fra la passeggiata di Spock su V’Ger e l’ultima sequenza di 2001 Odissea nello Spazio. Le critiche sulla lunghezza e pesantezza di tali scene non sembrano condivisibili, poiché il ritmo lento delle riprese instilla di proposito nello spettatore un’ansiosa emozione nell’ammirare l’Enterprise, la V’Ger o la nuvola aliena. Non manca il consueto umorismo, con la fusione mentale tra Spock e la nave aliena, nel cui flusso di informazioni compaiono anche le immagini di Darth Vader (Star Wars) e persino Miss Piggy (Muppet’s Show). Un’unica piccola incongruenza: la scena di Spock su Vulcano mostra chiaramente due lune nel cielo, benché lo stesso Spock nell’episodio THE MAN TRAP affermi che Vulcano non ha lune.