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Dopo la duplice regia affidata a Nimoy, anche Shatner ottiene l’onore di poter dirigere uno dei capitoli cinematografici di Star Trek, basandolo su una propria sceneggiatura. La pellicola, forse la meno riuscita fra tutti i lungometraggi di Star Trek, è anche l’ultima in cui si vede tutto l’equipaggio al completo dell’Enterprise, sebbene George Takei (Sulu, che nel sesto episodio comanda l’Excelsior) venga convinto a partecipare solo all’ultimo momento, non volendo essere diretto da Shatner con cui ha vissuto in passato forti tensioni. Il film presenta un’atmosfera vagamente “trash” ed una serie di vistose anomalie, sia nella biografia dei personaggi che all’interno delle leggi fisiche e tecnologiche della saga: basti pensare che l’Enterprise riesce a raggiungere il centro della Galassia impiegandovi un tempo ridicolmente minore delle decine di anni necessari a compiere un simile tragitto. In tal senso, lo stesso Gene Roddenberry arriva a definire il film come “un’opera apocrifa”, dissociandosene. La pellicola spicca anche per un’impressionante quantità di imprecisioni tecniche, persino in elementi fondamentali quali la struttura stessa dell’Enterprise, come l’assurda numerazione dei ponti nel tubo del turboascensore, con i nostri eroi che dapprima superano per due volte il ponte 52 e quindi giungono fino al ponte 72. Peccato che dettagli tecnici affermino che l’Enterprise sia alta proprio 72 metri, cosa che lascerebbe pensare a dei ponti alti appena un metro ciascuno! Altre scene francamente imbarazzanti dal punto di vista recitativo, quali il balletto di Uhura in pieno deserto ed il coretto “ROW ROW” cantato attorno al fuoco da Kirk, Spock e McCoy, valgono al film tre ironici premi Razzie Awards, alla pellicola come peggior film dell’anno ed a Shatner come peggior attore protagonista e come peggior regista. In tal senso, poco avrebbe potuto fare anche Sean Connery, inizialmente scelto come interprete del ruolo di Sybok.