Nimoy, che torna ad interpretare Spock solo in cambio della regia, elabora un episodio controverso, basato sulla contraddizione etica e caratteriale: nel primo caso è Kirk a violare ogni regolamento federale, rubando l'Enterprise per inseguire la speranza di un qualcosa che nemmeno lui è in grado di spiegare, nel secondo è Bones McCoy a correre ogni tipo di pericolo per poter riavere il proprio compagno di ripicche e battibecchi. Il film è in effetti incentrato su questa fusione di due cervelli contrapposti, l’emotività vulcaniana e l’emotività umana, che tende in fondo ad arricchire entrambi: è un po’ come trovarsi di fronte ad una riedizione interstellare di Don Camillo e Peppone, due amici/nemici che formalmente si detestano ma che sostanzialmente rappresentano l’uno l’appendice dell’altro e che, sebbene non lo ammetteranno mai, si ammirano e rispettano a vicenda. La resurrezione di Spock, ovviamente, dovendo rappresentare un assoluto segreto per tutti i fans, viene tenuta celata anche a livello di titolo, nato provvisoriamente come “The search for Nacluv” (ossia il contrario di Vulcan) per poi essere cambiato solo a pochi giorni dall’uscita. Questo sperticato elogio della profonda amicizia dell’equipaggio mette in secondo piano la morte del figlio di Kirk, sebbene risulti intrigante la reazione di Shatner (la caduta dalla sedia), al quale il regista Nimoy aveva lasciato carta bianca a livello di rappresentazione emozionale. Memorabile invece la sequenza dell’autodistruzione dell’Enterprise, della quale inizialmente deve salvarsi la sezione a disco: Nimoy critica però questa scelta, affermando che “se Kirk fa una cosa, la fa completamente”, e si decide di procedere all’esplosione completa. Curioso, in tal senso, che i codici di autodistruzione dell’Enterprise siano identici a quelli dell’episodio “Let That Be Your Last Battlefield”, quasi che in una nave stellare non sia consuetudine modificarli ciclicamente.