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“Anche l'uomo che ha puro il suo cuore, ed ogni giorno si raccoglie in preghiera, può diventar lupo se fiorisce l'aconito, e la luna piena splende la sera.”Da questa semplice poesia creata dallo sceneggiatore C.Siodmak, nel 1941 prende infine vita l'uomo lupo.Scappato dalla Germania nazista, Siodmak creò, amalgamando abilmente folcklore ad eventi del suo tempo, il mito dell'uomo lupo come ancora oggi lo conosciamo.Sue furono le idee del morso come veicolo di contagio o dell'argento come mezzo per uccidere i licantropi.Egli costruì una storia in cui il simbolismo (la stella di Davide come stigma della licantropia) e la brutale fatalità del destino si uniscono a rinsaldare quell'aspettativa di immane tragedia tipica del cinema horror dell'epoca. Nel film il giovane Larry Talbot (L. Chaney Jr.)torna alla sua casa di famiglia dopo la morte del fratello. Subito l'avverso fato si mette in moto e Larry viene contagiato dal morso di un licantropo.Costretto a confrontarsi con l'impossibile, Larry deve ora fare i conti con la bestia che piano piano prende sempre più possesso di lui.Gli fanno da contrappunto l'incredulità dei savi del villaggio ( l'amico poliziotto, il dottore e il padre) e l'inesorabile condanna ( “la fine predestinata” già patita dal povero Bela, il sempre ipnotico Lugosi) che la zingara gli profetizza.Non esiste speranza, tutto è già deciso. Deciso perfino prima del contagio, quando Larry sceglie come bastone da passeggio quello con l'impugnatura d'argento a testa di lupo.Ma è grazie soprattutto all'abile regia di G.Waggner e alla maschera creata da J. Pierce che la storia prende vita.Tra stacchi sulla brughiera nebbiosa e il volto tormentato del protagonista, lo spettatore si trova a condividere il dolore e lo smarrimento per l'avversa e ingiusta sorte del protagonista.Un film, quindi, tutto da riscoprire.Anche e soprattutto ai giorni nostri dove la spontaneità creativa è spesso soffocata da CGI e affini.