L'ultima Frontiera ha diversi nomi, Paradiso, Eden, Shangri La, ma un unico significato: il ricongiungimento con la nostra origine e col divino, la fine delle tribolazioni. Il tema del Quinto Capitolo della saga vede la famiglia e le proprie origini al centro del discorso, si decolla dal pianeta della Pace Galattica per tentare di raggiungere la pace interiore. Conosciamo così il fratellastro di Spock, Sybock, un vulcaniano purosangue ma che ha rinnegato la logica vulcaniana aprendo la sua mente alle emozioni. La sua dote empatica riesce a lenire il dolore dell'anima, annullarlo, rendendo lo spirito più leggero e sollevato, pronto per intraprendere il nuovo viaggio verso l'ignoto. Ma il dolore è fondamentale per Kirk che non vuole assaggiare questa mela offertagli ingenuamente, il suo dubbio lo accompagnerà per tutto il viaggio verso il centro della Galassia, oltre la barriera d'energia. Niente di speciale in fondo, un capitolo più introspettivo e che sicuramente non è all'altezza de precedenti, si può dire più un vezzo del regista che ha voluto farci scrutare nel passato dei personaggi scoprendo le loro ferite e rinsaldando la terna amicale in un inedito exploit canterino attorno al fuoco, completato dalle anticipazioni su futuro (Kirk e il suo presentimento sulla morte che lo coglierebbe quando è solo). Peccato non aver approfondito e delineato meglio la sceneggiatura e il desiderio di ricongiungersi col divino, che a mio avviso avrebbe potuto far ricordare questo come un buon capitolo speculare del pregevole “Star Trek: The Movie Picture”, dall'altra parte un'altra occasione mancata nel non aver dato più spazio al ruolo del dolore nella formazione di una persona, parte ridotta a poco più di una sequenza.